Lo si va a trovare come si va a trovare una persona cara; dorme, si sveglia, fa riposino, tossisce, brontola, che sia vivo è poco ma è sicuro». Anche papà Beppino quando va a trovare Eluana le parla, «Ciao bambina», le dice. «Ce la faremo», aggiunge. E mentre i familiari e gli amici di Gianni invocano «il mistero della vita», Beppino chiede che «si smetta di tormentare Eluana, perché queste cure che non portano a niente lei le riteneva una violenza, un' invasione di mani altrui». E adesso che ha ottenuto ragione dalla corte di cassazione, che ha dalla sua parte le opinioni di Umberto Veronesi, Massimo Cacciari, Stefano Rodotà, che sente dai sondaggi che il 70 o l' 80 per cento degli italiani la pensa come lui, vorrebbe «inabissarsi» nel silenzio e lasciar andare senza clamori la sua unica figlia, «il cui percorso di morte è stato interrotto da una rianimazione che non voleva». Siamo al secondo piano della casa di cura Beato Talamoni, stesse suore Misericordine. Stesse porte, una a fianco dell' altra. Ma due concezioni opposte nel considerare la vita, ma anche di giudicare le vite degli altri. Due stili diversi nel parlare, spiegare, vivere e morire. E intorno, ben più lontano, ci siamo noi: noi che per esempio ci chiediamo se ci sia un limite nella religione, nella medicina, nella politica. «Io - dice Vignali - non tollero l' idea del testamento biologico, l' uomo non è solo biologia. La prima impressione che ho avuto, quando sono andato a trovare Gianni, è stata la stessa di quando avevo il bambino di sei mesi. Che cosa capiranno i bimbi? Non lo sai, ma gli dai da mangiare, perché ci sono». Ciellino come Micheli, di quei ciellini della pre-politica, di quando c' era don Giussani, di quando Scola era uno del «movimento popolare» a Lecco, l' onorevole Vignali non vede «in quello che fanno le suore una cura sproporzionata che genera sofferenza inutile. Qua non c' è la sofferenza, ci sono la moglie, i figli, amici che vanno e vengono. Questa stanza non è un luogo triste, ma un luogo di amicizia e vita. E la vita nessuno la può possedere, non possediamo nemmeno la nostra. Lei mi chiede di Eluana, io vedo una persona viva e vedo la tristezza del padre. Che comprendo, ma non si può decidere della vita degli altri, nemmeno dei figli. Per me non dovrebbe andare avanti». Ed ecco la grandissima differenza che esiste in queste storie parallele. Papà Beppino lascia dire e fare. Si è «permesso», come usa dire, di replicare solo una volta al cardinale Bagnasco quando da Sidney l' ha accusato praticamente di omicidio, come hanno fatto (creando non poco trasalimento tra i fedeli del cristianesimo mite del prossimo da amare) altre voci del Vaticano e della Cei. Papà Beppino non ha mai avuto e avrà «nessuna parola contro le suore, che accudiscono alla perfezione Eluana, ho solo spiegato loro che mia figlia non l' avrebbe accettato. Sono convinto - ha sempre detto - che al cittadino, in uno stato di diritto, sia concesso di dire "no grazie" alla medicina o alla fede. Se qualcuno vuole essere curato, lo faccia, ci mancherebbe. Ma se io voglio rifiutare le cure, mi sia concesso. E ora a Eluana è stato finalmente concesso». Sembra - sembra - quasi esistere una contrapposizione tangibile tra la «serenità assoluta dentro un dramma enorme», come raccontano gli amici di Gianni, un omaccione che somiglia al Bud Spencer dei film, e il logorio di un piccolo uomo, di una moglie che si è consumata nel dolore, di una fragile donna in stato vegetativo da quasi diciassette anni. Ma - anche se Beppino non parla mai dei sentimenti profondi - non è così. Englaro è stato logorato sì dalla battaglia, ma sa che «il mio cuore è limpido». Allo stesso modo non trema, non vacilla nemmeno il cuore di chi tiene la mano da un anno e mezzo «al Gianni», che era una forza della natura. La nostra vita, in fondo, è anche quella strana cosa che passa mentre siamo impegnati a fare altro. -LECCO
Repubblica — 16 novembre 2008 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA